FONDAZIONE CORRENTE MILANO, 26 OTTOBRE 1999
 

Caro Fabio Massimo Ulivieri un fastidioso contrattempo mi impedisce di intervenire alla inaugurazione della tua mostra. Desidero farti arrivare due parole, quelle che ti avrei detto a voce.

Nell’arte contemporanea vi è stato un vero e proprio inseguimento dell’originalità estetica attraverso una pura ricerca di nuovi linguaggi. Vi sono stati ovviamente risultati di grande rilievo cui è seguita una epigonale proliferazione di segni, materiali, invenzioni puramente parassitarie. Così ho deciso che a ogni esperienza artistica avrei posto la domanda radicale sulla sua capacità di verità.

Sin dall’inizio la tua scelta figurativa cercava con sensibilità e misura compositiva questa strada difficile. Da qualche anno oramai la tua ricerca mostra una originalità di segno e un valore estetico compiuto. E’ una pittura della visione e attraverso le tue composizioni, impariamo a identificare un’icona capace di condensare, con un gioco sapiente di tonalità coloristiche, l’essenzialità della “cosa”. La visione sintetizza l’immagine in una sua dimensione spaziale e la lavora nel profondo delle sue sfumature, invita alla percezione di una anima che la “cosa” nasconde nella sua materialità. L’architettura, parlo della “Resurrezione del Duomo” si condensa in una visibilità essenziale e l’immagine nella memoria ha la forza, proprio per la sua sapiente leggerezza, di divenire l’icona di un senso.

La “Resurrezione” è quindi la medesima dimensione della verità. Nella ricerca della Ca’ Granda mi pare intervenga una partizione spaziale che ha il suo senso nella natura della “cosa”, e quindi mostra la capacità interpretativa e la sua traduzione stilistica. Un’esperienza d’arte compiuta e autentica di cui, come molti, ti sono profondamente grato.