MILANO, 26 OTTOBRE 1999

[...] Oggi ho l’occasione, come storico della Ca’ Granda di introdurre i presenti a questa Mostra di Pittura di Fabio Massimo Ulivieri intitolata La Resurrezione della Ca’ Granda. Altri dopo di me e meglio di me, diranno del significato e del valore pittorico, artistico, estetico delle opere e del lavoro in generale di Fabio Massimo Ulivieri come pittore.

[...] La Mitografia di Milano che Ulivieri in una successione triadica di tipo quasi hegeliano (forse rifacendosi inconsapevolmente a una ideale o idealistica “filosofia della storia” della nostra città) ha iniziato con una Resurrezione del Duomo,[...] prosegue con questa Resurrezione della Ca’ Granda e continuerà poi con una Resurrezione del Castello. [...]

Duomo, Castello, Ca’ Granda… Ricordo appena che Francesco Sforza, neo-duca di Milano nel 1450, accolto in Duomo dall’ecclesia e dalla civitas festanti, pose subito mano alla ricostruzione (resurrezione) dell’atterrato castello visconteo, erigendo il nuovo castello sforzesco, e subito dopo pose mente alla costruzione (reformatione o resurrezione ospedaliera) del nuovo hospitale maius, l’Ospedale Maggiore, che doveva simboleggiare pace, carità e salute, e dare ai milanesi, specie a quelli poveri, assistenza e sostegno.

E ricordo appena che il suo architetto toscano, Antonio Averlino detto il Filarete, fu prima addetto alla fabbrica del Duomo, poi alla torre centrale del Castello e infine fu preposto, come architectus, fabricator, director et ingenierius a quell’”albergo dei poveri” che sarebbe poi diventato la “fabbrica della salute” più ammirata e imitata in tutta Europa.

Duomo, Castello, Ca’ Granda… Ripercorrendo, da pittore, le stesse tre tappe percorse, oltre 500 anni fa, da architetto, da parte del Filarete, possiamo quasi dire che Fabio Massimo Ulivieri si candida qui, nello stesso luogo, a Filarete del Duemila?

L’interrogativo è un po’ impertinente e forse provocatorio. Ma il simbolo che Ulivieri ci propone con la sua chiara pittura – è un “chiarista”- che io intendo come una sorta di “illuminista del colore”- merita tutta la nostra attenzione, ammirazione, meditazione.

Un arco, un frammento di bifora, un rosone…

Una finestra che ci consente un doppio sguardo, una duplice vista o visione: quella di chi dal di dentro dell’antico ospedale cercava la solidarietà della città e quella di chi dal di fuori vedeva con gli occhi del cuore, della beneficenza e della carità, la sofferenza dei malati, dei “poveri di Cristo”, dei “poveri cristi” assiepati sui gradini inferiori della scala sociale.

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