FLASH ART, N.222 GIUGNO-LUGLIO 2000
Nato a Milano nel 1956 – dove è sempre vissuto e dove opera - Fabio Massimo Ulivieri porta in sé, direi, gli “archetipi del sangue” della città di Manzoni, di Carlo Porta, del futurista Marinetti. Pulsano infatti nella sua emotività come palpitanti “simboli della meneghinità” di questa metropoli europea della cultura e dell’arte.
Le “Resurrezioni” della “Mitografia di Milano” (iniziate nel 1996) ne sono il cordone ombelicale: sono appunto le immagini del “Duomo”, della “Ca’ Granda”, del “Castello Sforzesco”. Sappiamo che l’”epifania del mito” ha costituito nei tempi e mediante le diverse interpretazioni una "“verità-in-divenire” legata alla “conoscenza irrazionale”. Qual è la struttura del “pensiero mitico” ? Per Cassirer, nel mito l’essenziale è l’indistinzione tra il simbolo e l’oggetto. Jung lo vede come l’espressione di un “inconscio collettivo” anteriore all’inconscio individuale.
Artista dell’essenzialità nella sua problematica figurale d’avanguardia (una originale ricerca strutturale e semantica sintetizzata in una “Figuralità simbolica”), Ulivieri veste di simboli, di magia, di mistero i suoi “miti meneghini” attraverso le “Resurrezioni”: visioni che fondono passato e presente nel ricordo perché la “realtà dello spazio-tempo” è sempre, in noi, una verifica della memoria, una dimensione del vissuto. Dall’imponente “bianco simbolo religioso” del “Duomo” (in alto, l’emblematica macchia d’oro simbolizzante la Madonnina) fino alla facciata della “Ca’ Granda” (frammenti di rosone, colonna, arco, “nostalgiche finestre”) alla vibrazione ocra dei mattoni, alla “rinascimentale fortezza del Castello Sforzesco“, Ulivieri (co-fondatore del milanese “Gruppo Symbolicum”) non descrive la realtà: la riduce agli identificanti. I suoi “identificanti visuali” rappresentano infatti una simbiosi fra la struttura e il simbolo: il “Frammento-del-non-finito come realtà totalizzante” (così ho scritto di Flash Art, febbraio-marzo ’97).
E’ una “visio” che ho chiamato “presenza dell’assenza” come virtualità iconologica nel suo “continuum”. I battiti dei pigmenti (acrilici, tecnica mista su tela, carta) si estendono qui da una viscerale natericità a delicate, intangibili stesure timbriche. Tutto è avvolto nel Mistero. La realtà fenomenica ci appare come un “labirinto-in-metamorfosi”, un “Work-in-progress-del-Mistero”. L’origine e il senso dell’universo? Maestro delle sue “Resurrezioni”, “viajero de los suenos” nei suoi sentimenti d’artista. Ulivieri continua a percorrere –con i “simboli dell’inconscio”- quell’infinito “labirinto-della-realtà”.